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Gli antropologi contemporanei hanno identificato un concetto tipico dell’odierna organizzazione sociale del mondo occidentale: quello di “non-luogo”. Un “non-luogo” è una costruzione moderna (non importa di quali dimensioni: da un edificio a una città) che non rivela traccia della cultura locale o nazionale che l’ha prodotta, ma che anzi la supera, ripetendosi in tutto il mondo sostanzialmente allo stesso modo. Non consente, dunque, un’identificazione con un contesto culturale, e però produce un’identità generica completamente autonoma, separata, chiusa in se stessa e nelle sue funzioni. Fra i “non-luoghi” più tipici della nostra epoca vanno annoverati gli aeroporti, le metropolitane, spesso le stazioni ferroviarie e di autobus, i supermercati di grandi dimensioni, i centri commerciali.
Il “non-luogo”, non a caso, ha suscitato recentemente interessi estetici, oltre che di analisi, piuttosto approfonditi. Basti pensare alla musica, e al tentativo di Brian Eno di produrre una music for airports di tipo minimalista. Il cinema ha visto l’apparizione di Subway, con Christopher Lambert, tutto girato in metropolitana, e più recentemente di The Terminal, con Tom Hanks, che si svolge in un aeroporto. Le correnti pittoriche iperrealiste americane hanno dedicato ad aeroporti, metropolitane, ospedali, supermercati moltissime opere. Si è sviluppata una tendenza architettonica specifica per i grandi centri commerciali (Richard Meyer), per gli aeroporti (Calatrava), per i porti (Renzo Piano), e così via.
Il progetto Estetica dei non luoghi ha l’intenzione di visitare la descrizione dei “non-luoghi” effettuata dagli artisti contemporanei, per scoprire attraverso il loro sguardo creativo caratteristiche eventualmente inesplorate dall’antropologia culturale. (Omar Calabrese)
Il volume, curato da Omar Calabrese e Maurizio Bettini (professore di filologia classica all’Università di Siena), percorre un viaggio attraverso i luoghi fantastici elaborati dalla letteratura dall’antico fino all’Ottocento. Le opere sono proiezioni di mappe di non-luoghi, mappe di territori inesistenti, create dalla fantasia, dal mito di Atlantide all’Isola del tesoro di Stevenson, dalla Nova Atlantys di Francis Bacon alle Terre di mezzo di Tolkien.
Hic sunt leones era l’indicazione usata dai Romani sulle mappe per indicare i limiti dei territori conosciuti. Oltre quella linea c’erano i leoni, belve feroci, le terrae incognitae sconosciute e dunque pericolose. Prima di quei limiti l’uomo si fermava, ma la sua immaginazione procedeva. Questa mostra vuole essere il racconto di quelle esplorazioni.
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